Un pittore aperto a diverse forme di espressioni artistiche
Vincenzo Arancio e la sua arte

da Il Domani N° 11 Dicembre
di Roberto Bellassai

Nella Repubblica di Platone l’arte e gli artisti venivano visti come un pericolo per la società e l’ordine pubblico, di conseguenza venivano censurati.
Nonostante siano passati più di duemila anni da quest’opera di Platone, alcuni anni fa, nel 2002, in piena “Democrazia”, in occasione della Commedia Le Rane, di Aristofane, che andava in scena al Teatro Greco di Siracusa, un autorevole Regista come Luca Ronconi, uno degli esponenti più rappresentativi del teatro d’Avanguardia in Italia, allestì una versione “attualizzata”, dell’opera, collocando attorno alla scena dei pannelli con le facce di Berlusconi, di Fini, di Bossi e di La Russa, per mostrarli agli spettatori come i volti dei tiranni del tempo. E’ successo che sono intervenuti Ministri, Sottoministri, Deputati e Prefetti, che hanno costretto al Regista di togliere i pannelli che raffiguravano i tiranni politici. Luca Ronconi fu costretto a mandare in scena la Commedia senza le facce dei tiranni, denunciando un vero caso di censura inaccettabile in un Paese dove la cultura si dovrebbe respirare visto il patrimonio infinito che il Bel Paese si ritrova sotto ogni aspetto artistico.
Ma ancora ad oggi il provincialismo culturale e politico continua ad essere in scena in Italia, soprattutto nel calpestare l’articolo 9 della Costituzione.

Nonostante si continuano a fare le lunghe e a volte lunghissime file per visitare le Mostre e Musei in Italia, a cominciare dai Musei Vaticani, quindi del Centro Italia, del Sud e del Nord del Bel Paese, per ammirare ogni luogo in cui l’arte si potrebbe dire è a “cielo aperto”, ma in realtà non ha il dovuto ruolo nella società democratica di oggi, che si presume dovrebbe avere, ma continua a non averlo, perchè è stato manipolato e neutralizzato da una politica liberista, quindi da una superproduzione delle merci, di conseguenza da un Mercato e da un modello culturale e sociale consumistico, che ha messo all’angolo sia l’arte, che gli artisti, mettendo invece il Mercato al centro insieme ai suoi Critici e ai suoi galleristi, per promuove e per bocciare a piacere chi non rientra nel loro “Mercato dell’arte”.

Mi chiedo e chiedo: Ma come si fa ancora oggi ad adottare quel famoso Aforisma di F. Dostoevskjì, in cui dice che “la bellezza salverà il mondo”. Aforisma che spesso viene gridato ai quattro venti da Governanti, Ministri, Sindaci, Assessori, Vescovi, ecc.
Dopo questa introduzione critica, è di Vincenzo Arancio, che voglio parlare, di un Medico Dermatologo, di un pittore e della sua pittura, quindi dei vari soggetti che ha dipinto, ad esempio, delle persone semplici, umili, di disoccupati, pescatori, artigiani, fruttivendoli, operai, casalinghe, netturbini, persone emarginate, persone conosciuti in Ospedale, oppure in Carcere, dove è stato Direttore Sanitario del Carcere di Noto, in breve, di tutti quei proletari e sottoproletari pasoliniani, che ogni giorno cercano di arrangiarsi per sbarcare il lunario.

Persone che pur con i tanti problemi esistenziali riescono a rimanere umani, ad avere anche qualche speranza e di tanto in tanto un pò di fiducia e amore verso se stessi e il prossimo pur faticando a vivere. Non sono i vinti di cui parlava Giovanni Verga, ma persone che hanno dei sentimenti, come la solidarietà verso l’altro e il senso della giustizia, in una società autoritaria e violenta, basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. “Sono gli ultimi testimoni di una civiltà contadina”, come scrisse Corrado Caddemi nel lontano 1982, che vengono dipinti nelle loro posture esistenziali.

Si può dire che avendo visitato in passato alcune Mostre del pittore Vincenzo Arancio, ma anche dato uno sguardo alla sua Mostra permanente, sia di quadri che di sculture disposta su due piani delle scale della sua abitazione, si può vedere attraverso la sua produzione tutta una galleria di personaggi di una società che va scomparendo, personaggi singolari e unici, come il Disoccupato seduto su una sedia attorno ad un tavolino, che si copre con tutto il palmo della mano la faccia per la disperazione, Michele Accardo, detto “Zunziddu”, dal sorriso un pò beffardo, un soggetto che lavorava in una tipografia, che quasi sempre andava da solo e sempre trasandato per le strade di Noto, che sembrava coperto di stracci, invece che di vestiti, ma innocuo e buono nei confronti di tutti, oppure il Carbonaio, che si piega assumendo una postura in cui sembra esprimere sofferenza e dolore per raccogliere con la pala il carbone da terra per alimentare il fuoco, o ancora il Pescatore, che torna dal suo piccolo Porto a mani vuote, dopo avere tentato con strumenti occasionali di pescare del pesce, poi è la volta di un quadro particolare dal titolo: “l’Avvocato e il condannato”, i due si trovano in una cella della prigione, in cui i muri, il tavolo e i vestiti sia dell’Avvocato, che del condannato sono grigi, con appena una piccola finestra da dove filtra un pò di luce. Osservando le loro posture e i loro sguardi, soprattutto quello dell’Avvocato fa pensare che non porta buone notizie al condannato. Questo quadro è piaciuto molto a Vittorio Sgarbi, che si può dire che a Noto è di casa, e che conosce la Galleria permanente di Vincenzo Arancio, per averla visitata.

In un angolo della Mostra permanente, che si può definire l’angolo delle amiche e degli amici, c’è il ritratto di Inca Trillijsjaard, che ha un volto molto espressivo, che è il volto di chi ha vissuto bene e lottato, che ha fatto delle scelte nella vita, lavorando all’estero e nella sua Danimarca, per raggiungere l’autonomia e la dovuta libertà. Ugo Von Doorne, un Eremita Belga, che viene colto in una particolare espressione in cui sembra “contemplare l’inaspettato”, poi c’è quello di un pittore Olandese, Augusto Van Eck, che da molti anni vive a Noto, colto in uno sguardo sorridente, aperto e incantato verso un paesaggio o un soggetto nuovo da dipingere; ci sono anche alcuni quadri di nudo, dei nudi di donna realistici, di una naturale sensualità, ma anche di un erotismo sottile, che viene evidenziato dal colore rosso un pò sfumato, sono delle donne, dei corpi vitali, che nella loro autonomia e differenza di per sè, sembrano dire: “Siamo quì sul Pianeta Terra, per alimentare” le “passioni forti” e “celebrare la vita”, per recuperare quella “Cultura sottratta alla vita”. Ed infine, un autoritratto di Vincenzo Arancio, dai toni e dai colori non solari, ma molto espressivi, in cui si vede un pò diverso da come appare, si può dire che si tratta di un suo doppio, di una delle tante latenze e di compresenze, che sono in ognuno di noi, a cui bisogna dare cittadinanza. Uscendo da quella Mostra permanente, si avverte di essere in un luogo in cui si respira un’aria e una dimensione fuori dalla contemporaneità.

Vincenzo Arancio è un pittore aperto a diverse forme di espressioni artistiche, e per la contaminazione delle arti, è anche uno scultore e un musicista di Jazz, in pittura si esprime tra il Verismo e l’Espressionismo, in cui mette in rilievo il passato con il presente. Del passato ha nostalgia, perchè oltre ai ritmi della vita di ieri, l’arte aveva un ruolo molto diverso da quello di oggi, e la vita era più sana. Del presente che esprime valori nel campo dell’arte, nonostante l’alienazione di oggi, ha molto rispetto. Tutti i ritratti che ha dipinto, si può dire che con la tecnica usata e la gamma dei colori con cui dipinge alimentano quella dimensione creativa – espressiva che nel “tempo immediato”, cioè fuori dal tempo cronologico, trasferisce in quell’atto creativo “quell’immagine compiuta” sulla tela, in quella tela in movimento che segue il suo divenire.
Vincenzo Arancio ha esposto in molte Mostre collettive e personali, a Noto, in Italia e all’estero, riscuotendo consensi sia di critica che di pubblico. Sia le critiche che le recensioni sono apparse su: Netum, “Arte di Arte”, Hobby e Scienza, Minuti Menarini, Stampa Medica, La Sicilia, Giornale del Sud, La Vita Diocesana, ed altre testate.
Sulla sua pittura hanno scritto: Corrado Caddemi, Sebastiano Burgaretta, Corrado Salemi, Marino Fioramonti, Anna Finocchio Curcio, Angelo Fortuna, Franco Zuccalà e altri.

Ad essere “ottimisti della volontà”, non si può non pensare a un cambio di tendenza , in cui l’arte e l’artista, oltre alla creazione del “bello in sè”, possa avere prima o poi quel dovuto ruolo artistico, culturale e sociale, per operare in una società più libera, senza le lobby dell’arte, per scuotere lo “spirito pubblico”, quel soggetto generico, normale, per contribuire a liberarlo dai meccanismi e dai dispositivi, soprattutto del falso io, che ha interiorizzato e fatto suo, per potere divenire sempre altro da sè, essendo ogni essere umano potenzialmente un’opera d’arte, perchè l’arte possa divenire una medicina per curare insieme il corpo – spirito, e non a continuare ad avere un ruolo ornamentale e di consolazione.

Infine, per rispondere all’arbitrio da parte del potere politico, nei confronti dell’arte del Mercato messo al centro, come se l’arte fosse merce da mettere a reddito, l’arte invece deve solo educare, dare strumenti; voglio citare un Aforisma di Friedrich Nietzsche, il filosofo che è stato un fautore dell’espressionismo, e non solo, che dice: “ Tutto ciò che ora chiamiamo cultura, educazione, civiltà, dovrà un giorno comparire davanti all’infallibile giudice Dioniso”.

Di NBTV