GARUM

Condividi

Le coste Netine sono ricche di testimonianze archeologiche molto particolari, anche se a volte poco note, fra queste un impianto per la produzione del Garum. In Sicilia, di importanti, ne sono presenti solamente tre, due dei quali rispettivamente siti sulla scogliera di Vendicari, a poche decine di metri a Nord della Torre Sveva (o Aragonese) e a Portopalo di Capo Passero. Nella storia recente sono stati, quasi sempre, scambiati per concerie, come testimonia per quello di Vendicari Jean Hoüel, viaggiatore francese del ‘700, che così scriveva: “… vicino, verso la Torre di Vendicari, si vedono vasche intagliate nella roccia: sono buche di concerie, poste in quel luogo a causa di un ruscello d’acqua dolce che vi scorreva. Per molto tempo si è creduto che fossero antiche”.

E così si è ritenuto fino agli anni 80 del secolo scorso quando, grazie agli studi condotti sul luogo dall’archeologa Beatrice Basile, l’insieme delle vasche fu catalogato come impianto per la lavorazione del pesce, precisando che quelle rotonde venivano utilizzate per la produzione del Garum e le rettangolari per quella del Tàrichos. Dagli studi condotti si è dedotto che il sito dovrebbe essere stato in uso fra il IV e il I sec. a.C.

   Il tàrichos, noto oggi come tonno salato, si otteneva ponendo pezzi di tonno, tagliati in varie forme, ad asciugare al sole insieme al sale.

Ma cos’era il garum? Una chiara risposta ce la dà Plinio il Vecchio che in “Naturalis Historia” scrive: “Dagli intestini dei pesci e dalle altre interiora che si dovrebbero buttare via, dopo averli fatti macerare col sale affinché ci sia quel tipico sangue marcio delle cose che imputridiscono, si ricavava anche un altro tipo di squisita salsa, che si chiamava garo. Questa un tempo si otteneva dal pesce, che i Greci chiamavano garon…”. – pesce fino ad oggi non identificato -.

   Il Garum era molto utilizzato in cucina, come si evince anche dalle ripetuta presenza nelle ricette del famoso cuoco romano Marco Gavio Apicio, vissuto a cavallo fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C..

Era anche ritenuto utile in medicina infatti il medico greco Dioscoride Pedanio ne indica l’efficacia nella cura delle piaghe, in particolare di quelle causate dal morso dei cani, della dissenteria e anche nella proprietà di alleviare i dolori della sciatica.

La preparazione della preziosa salsa era abbastanza semplice: all’interno delle vasche circolari ricoperte di cocciopesto, a volte alte anche un metro, venivano posti, in sequenza, strati di sale, interiora di pesce, in particolare di tonno, insieme a piccoli pesci poco pregiati ed erbe aromatiche locali. La parte finale era costituita da una spessa copertura di sale. Il contenuto si lasciava riposare per i primi dieci giorni, successivamente si mescolava con regolarità, per circa due mesi, inducendo cosi, grazie alle proprietà antisettiche del sale, un processo di macerazione, ma non di putrefazione.

   Infine, immergendo un canestro, che fungeva da filtro, se ne prelevava la parte liquida che era la più pregiata, nota come Garum flos floris, che veniva conservata in piccole anfore da trasporto. La poltiglia pastosa rimanente, chiamata hallec, meno pregiata, aveva conseguentemente un valore di gran lunga inferiore, e veniva consumata dal popolo.

di Giuseppe Iuvara

Lascia un commento